Cucina

Italiano e Cucina: perchè mangiare è così importante

Cucina – Quando si studia una lingua si studia, in qualche modo, anche un popolo, la sua cultura, le sue tradizioni e le sue regole sociali perché imparare una lingua non significa solo usare in maniera corretta lessico e grammatica, significa anche saperla usare in maniera appropriata.

Uno dei modi, anzi io direi uno dei mondi, in cui meglio si può conoscere ed imparare molto sulla cultura italiana è quello che ruota intorno al cibo. Come si cucina e come si mangia.

Noi italiani siamo famosi per l’importanza che diamo al cibo. E credo che per un popolo come il nostro, ancora legato alle tradizioni, sia normale.

Ogni momento del rituale dei pasti evoca infatti in noi ricordi e memorie. Ogni oggetto della cucina, ogni profumo, ogni parola diventa una maddalene proustiana che ha la capacità di catapultarci indietro nel passato come una macchina del tempo.
Ogni passo della preparazione di un pasto è evocativo.

Tutto comincia con l’attesa del pasto.

Quando ci si siede tutti insieme attorno alla tavola. E’ il momento in cui ci si ritrova con i propri affetti, in un posto familiare e lo si aspetta per fermarsi un po’ e ritrovarsi con sé stessi e con gli altri.

La preparazione è invece caratterizzata da un grande fermento: vedere cosa è stato acquistato per poi essere magicamente assemblato per creare delle vere opere d’arte da mettere sulla tavola e far felici occhi e palato di tutti. Cominciare a sentire gli odori quando la preparazione inizia, i rumori delle cipolle che soffriggono nell’olio, dell’acqua del rubinetto che riempie la pentola per la pasta. Cominciare a pizzicare qualcosa di nascosto. La preparazione è attesa, crea aspettative, aspettare di sentire quel sapore speciale. E’ il momento del racconto, forse più personale rispetto a quello a tavola, più confidenze, più pettegolezzi.

Anche la preparazione della tavola avviene in maniera apparentemente caotica ma in realtà sistematica. Prima la tovaglia, poi la conta dei commensali: “Quanti siamo?”, “12? Con o senza i bambini?”, poi i piatti i bicchieri, le posate, “Dove si siedono i bambini che non metto il coltello?”, mentre tutti si muovono intorno, ognuno con il proprio compito.

Infine, si mangia. Si fa festa, sia a Natale che in un qualunque giorno dell’anno.

L’attesa finisce e le confidenze diventano storie. Storie di gente che ad un certo punto trova sempre una buona scusa per incontrarsi e che riesce a mettersi intorno ad una tavola a raccontare ed ad ascoltare.

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E’il momento in cui ti rendi conto che, mentre eri a scuola o al lavoro o chiacchieravi con gli altri la mattina di Natale. Qualcuno pensava a te. Cucinava per te perché quel momento diventasse speciale. E così lo aspettiamo quel momento speciale da condividere con gli altri.

Queste sono le cose che si devono vivere, per conoscere veramente una popolo e la sua lingua. Bisogna mettersi ai fornelli con loro. E sentirli parlare. Ascoltare le loro storie e provare ad entrare nel loro mondo. Tra passato e presente, po’ sospesi nel tempo.

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